giovedì 16 giugno 2011

PER PARLARE DI MONTAGNA "Terre alte. Il libro della montagna"

"Ecco il freddo, la solitudine, la fame e il sollievo. Il mondo in lontananza - a volte il mare - senza rimpianti. Fughe di valli, di montagne, ghiacciai e precipizi, l'orizzonte velato da coltri di nuvole.
Siamo in vetta: solo qui è il posto giusto, siamo finalmente noi stessi."


Per parlare di montagna bisogna conoscerla e amarla davvero. Non ci si può improvvisare esperti. Per parlare di montagna è necessario aver percorso sentieri e vallate, avere raggiunto qualche cima, non necessariamente con corde e chiodi ma anche solo camminando, aver sciato nel silenzio ad alta quota o aver attraversato canaloni e altipiani sulle piste da fondo. Bisogna aver respirato una certa aria rarefatta, essere stati scottati da un sole incredibilmente forte e poco filtrato, aver visto quella luce che in ogni parte del mondo ti fa capire che sei in montagna.

Carlo Grande conosce la montagna, la ama e ce la racconta, con grande semplicità, nelle pagine di questo breve libro che non è un romanzo, non è un saggio e neppure un racconto di viaggio, ma una raccolta di impressioni e ricordi che ci fanno rivivere momenti della sua vita legati alle "terre alte".
Certo, chi vive a Torino come lui è già "geneticamente" predisposto ad avvicinarsi a quelle cime che vede ogni giorno, come le quinte di un teatro lungo centinaia di chilometri. La montagna è come il mare, di cui tutti sanno l'effetto d'attrazione e di rimpianto che suscita in chi vi è nato e se ne è allontanato. Anche la montagna (e chi di voi ha vissuto ai suoi piedi o sui suoi pendii lo sa) genera un sentimento di nostalgia e di passione molto forte.


Le "terre alte" sono in vero composte da molte realtà: la collina, le valli, i boschi, tutto ciò che si staglia sulla pianura è un primo passo verso la montagna che si avvicina con le sue creste, i passi, i valichi, le pietraie... La montagna è anche i villaggi in cui l'uomo vive, gli alpeggi sui versanti soleggiati, l'acqua che vi scorre, le nuvole che passano rapide sul suo cielo, gli animali che la abitano, le piante che segnano perfettamente le altitudini, come uno strumento di precisione.
La montagna è salita ed è anche discesa. Ed è la bella bibliografia di libri importanti che chiude questo bellissimo racconto.


Le prime pagine

                                                                   Prologo

«Camminare per le montagne è uno sciocco piacere » disse il Baiai Lama a Heinrich Harrer nel film Sette anni in Tibet. Il Compassionevole, l'Oceano di saggezza è in grado di scendere in se stesso e di uscire dalla nostra prigione materiale e morale senza bisogno di salire, di faticare. Ma noi che viviamo in città, che mangiamo senza fame e beviamo senza sete, che ci stanchiamo senza che il corpo fatichi, che rincorriamo il nostro tempo senza raggiungerlo mai, abbiamo bisogno di riprenderci le nostre vite, di trovare una strada che ci riporti al centro di noi stessi. Quando si ha, come noi, una tale sicurezza materiale da non temere più di tanto per il futuro, quando non ci si domanda cosa succederà la settimana prossima, quando si ha sempre di che vivere e non si sa più per cosa, si forma intorno a noi una prigione senza confini, da cui è difficile fuggire.
   Una delle vie maestre, la più faticosa e feconda, è quella che conduce alle terre alte. Guai a perdere il bene della montagna e della natura, volgere le spalle alla sua verità profonda. È fatta di bellezza, di fatica, di solitudine e silenzio: valori poco alla moda, che aiutano a vivere. Il vero isolamento, quello che ci fa sentire soli, non è una condizione fisica, è uno stato morale. È rimanere fra gente insulsa e compiere azioni insignificanti, è produrre cose inutili che mortificano la nostra vita e la svuotano di senso.
   La montagna, in tempi di carestia fisica (di aria, di acqua, di terra) e spirituale (etica ed estetica), è una delle ultime risorse per salvare il pianeta e le speranze dell'uomo. Frequentare la natura e le terre alte è un modo fondamentale per ritrovare dignità, poesia, contemplazione, senso dell'eroismo. Ciò che di buono, insomma, si agita di tanto in tanto nel nostro animo.
   La montagna siamo noi, la nostra parte più nascosta, preziosa e vitale. Come il duende, il demone della creatività descritto da Federico Garcia Lorca in un saggio immortale, non è tecnica, non è fantasia, non è intelligenza. Non è solo questo. La montagna ci solleva e ci fa patire, ci trafigge nel profondo, ci scuote e infine ci lascia muti. È una forza istintiva e potentissima, inesprimibile, "che sorge dalle più segrete stanze del nostro sangue" dice García Lorca. È un grumo dionisiaco che contiene gioia e dolore, solitudine e amicizia, canto e silenzio, vento, ghiaccio e sole splendente. È trasalimento, è un potere misterioso che brucia il sangue e prosciuga. È una ferita inguaribile, attraverso la quale scorre il nostro sangue più puro.





L'autore


Carlo Grande
scrittore e giornalista torinese, lavora a La Stampa e collabora con varie testate e la Scuola Holden occupandosi di cultura e di ambiente.
Per sette anni ha diretto la rivista di Italia Nostra.
Vive e lavora a Torino.

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