venerdì 28 settembre 2012

Premio Campiello 2012: il vincitore è Carmine Abate con “La collina del vento”

Carmine Abate ha vinto il Premio Campiello 2012 con il romanzo La collina del vento. Si aggiudica quindi l’edizione del cinquantenario un romanzo che racconta la storia di una famiglia che – come leggiamo sul sito del vincitore – “è una saga appassionata e coinvolgente, epica ed eroica di una famiglia che nessuna avversità riesce a piegare, che nessun vento potrà mai domare”.
Premio Campiello 2012: il vincitore è Carmine Abate con “La collina del vento”Lo scrutinio delle prime cinquanta schede vedeva in testa Francesca Melandri con 12 voti, seguita da Carmine Abate e Marcello Fois con 11 e da Marco Missiroli e Giovanni Montanaro con 8. A cento schede scrutinate la situazione vedeva Abate e Melandri in parità con 26 voti, Fois 22, Missiroli 14 e Montanaro 12.
A metà scrutinio Carmine Abate e il suo La collina del vento hanno iniziato a correre con 45 voti. Seguivano, in ordine, Melandri, Fois, Missiroli e Montanaro. Il distacco di Abate sugli altri è andato sempre aumentando, fino al risultato finale che lo ha visto vincere, seguito da Francesca Melandri, Marcello Fois, Marco Missiroli e Giovanni Montanaro.
Bella la definizione che Dacia Maraini ha dato della letteratura: secondo la scrittrice premiata con il Campiello alla carriera la letteratura è testimonianza. E ha aggiunto che sebbene non possa cambiare il mondo, di certo la letteratura ci dice verso dove andiamo e, in quest’ottica, non è certo in crisi come l’economia!
Un augurio di cuore alla giovanissima Martina Evangelisti (vent’anni) che ha vinto il Campiello Giovani 2012 con il racconto Forbici e che da grande vorrebbe fare l’insegnante






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Vincitore premio Strega 2012 - Alessandro Piperno -

Una bella costruzione narrativa, una scrittura efficace, dialoghi ben costruiti, analisi approfondite dei personaggi, ambienti resi in modo credibile. Tutto questo si trova nel terzo romanzo di Alessandro Piperno, candidato eccellente al Premio Strega 2012. Eppure, alla fine del libro, si rimane perplessi di fronte all’eccessiva esibizione di pulsioni e di sentimenti, di odi e di risentimenti, di rancori passati e mai superati che vengono raccontati dall’autore/narratore.

Il romanzo è, come promesso, il seguito della fosca storia familiare dei Pontecorvo, una famiglia di ricchi ebrei romani. Si riprende la narrazione venticinque anni dopo la morte del capofamiglia, Leo, accusato ingiustamente di molestie sessuali alla dodicenne fidanzatina del figlio Semi, il quale aveva rinunciato a difendersi, preferendo sparire nel seminterrato della villa all’Olgiata dove la famiglia abitava e dove, disperato, aveva trovato la morte. Ora Filippo e Semi sono due adulti, la loro madre Rachel continua a vivere all’Olgiata dove, in quel tetro seminterrato, ha costruito lo studio di psicologa per anziani soli. I due fratelli hanno scelto vie opposte: Filippo ha sposato una ricca gentile nevrotica e viziata, attrice di secondo piano nelle fiction televisive più commerciali mentre lui disegna fumetti; Semi, tra New York, Milano e Roma dopo aver lavorato in una grande agenzia di rating ora commercia cotone per un’importante azienda di cui è divenuto socio e rimanda il matrimonio con Silvia, ambiziosa avvocato con cui prosegue uno stanco rapporto da molti anni. La vita sessuale, sociale, familiare dei due fratelli è a dir poco malata: l’uno, Filippo, non fa che passare da un letto all’altro, il suo rapporto con la semianoressica Anna è fallimentare, la sua vita lavorativa inesistente; l’altro, Semi, è praticamente impotente e la fidanzata Silvia è solo un alibi per coprire la sua inadeguatezza, mentre la carriera prodigiosa ed economicamente gratificante finisce in una mare di debiti. Quanto più Semi cade, tanto più Filippo, autore di un film che viene presentato al festival di Cannes, conosce un’inattesa immensa popolarità che gli cambia la vita e il carattere.

Il finale del romanzo è molto violento perché racconta la resa dei conti di tre vite, quelle di Rachel, Filippo, Samuel, senza sconti per nessuno dei tre. Finalmente vengono messe al bando l’ipocrisia e il formalismo, i silenzi colpevoli, l’omertà che avevano caratterizzato i loro rapporti per troppo tempo. Il padre Leo, mai più nominato, ritorna prepotentemente in scena, mentre l’odio accumulato da Semi nei confronti di madre e fratello, di fidanzata e socio, emergono come un fiume inarrestabile. Le pagine finali del romanzo sembrano ristabilire un po’ di ordine e di armonia nelle vite devastate dei Pontecorvo, mentre la voce narrante si palesa per il personaggio più dolente del libro, Semi, che nel concludere la storia si confessa al lettore:

“Sono il fratello inessenziale, il fratello più volte tradito, il cadetto in tutti i sensi. Sono il più eclettico dei Pontecorvo. Quello pieno di talenti e quindi senza alcun talento. Sono l’impotente, il fallito, l’impostore……Mi consola sapere che non ho avuto alcun ritegno a scrivere tutto quello che sapevo di me; ma il guaio è che tutto quello che non sapevo degli altri l’ho dovuto inventare…”

Il romanzo della borghesia ebraica romana dunque si conclude con un’amara confessione: quanto ha inventato Piperno? E’ il nuovo realismo il suo stile di narratore? Davvero è così violento, problematico, doloroso il rapporto familiare che lega ebrei non troppo osservanti a “gentili” con i quali convivono e si sposano nella ovattata società romana? La sessualità (impotenza, onanismo, rapporti bulimici che nel libro abbondano) è un tabù con cui non si è fatta pace? Il personaggio di Filippo, perseguitato per un fumetto che suona offensivo ad un gruppo di terroristi islamici, è la metafora della condizione di persecuzione a cui gli ebrei romani ancora si sentono esposti? Mi sono chiesta questo e molto altro nel leggere questo lungo romanzo che non esito, pur nella sua ottima qualità letteraria, a considerare inquietante e non del tutto riuscito.
Marcello Simoni è il vincitore del 60° Premio Bancarella

Un medioevo intessuto di riti magici e alchimie che vede il libro giocare il ruolo di vero protagonista, sia pure in una veste salvifica po...
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Marcello Simoni è il vincitore del 60° Premio Bancarella

Un medioevo intessuto di riti magici e alchimie che vede il libro giocare il ruolo di vero protagonista, sia pure in una veste salvifica poiché in grado di evocare gli angeli, ha conquistato i librai del Bancarella che gli hanno tributato un corale consenso di voti, tale da distanziare considerevolmente l’altro concorrente della presente edizione del Bancarella, La voce del destino di Marco Buticchi. Anche questo un libro di tono storico, ma assai avanzato nel tempo rispetto al precedente, poiché si snoda dalla seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri. Quasi la metà dei 200 votanti del Bancarella (97) ha contrassegnato con una crocetta il volume di Marcello Simoni Il mercante di libri maledetti, edito da Newton Compton, in uno scrutinio che, in una serata battuta da un vento pungente, ha tenuto avvinto e trepidante un pubblico di oltre mille amanti del libro. Come sempre convenuto nella piazza della Repubblica, dove si recita il tradizionale rito letterario, intitolato, nella presente edizione, un Week-end a Pontremoli con i premi Bancarella, 20, 21, 22 luglio. Evidentemente quella di Buticchi era una voce di un destino stregato perché già dalla prima lettura dei voti Simoni ha guadagnato un margine di 15/20 consensi che ha mantenuto fino alla fine. Il libro di Buticchi si è aggiudicato infatti 80 preferenze. Agli altri concorrenti è spettato dividersi il magro bottino dei poco meno che 20 voti restanti, del quale ha comunque privilegiato in modo maggiore I Poeti morti non scrivono gialli di Björn Larsson con 10 voti, mentre sorprende che libri di indubbio pregio come quelli di Enia, Così è il mondo, e di Perissinotto, Semina il vento, abbiano trovato solo un estimatore. Qualcosa in più è andata a Mercalli che comunque per entità è rimasta entro le dita di una mano. Il giovane vincitore, è nato infatti nel 1974, ex archeologo e ora bibliotecario ha evidentemente messo ha frutto la propria professione è si può dire, con il suo editore, il trionfatore del 60° Premio Bancarella. Una edizione che ha avuto non pochi motivi di interesse e che è risultata pari alle aspettative, tutti gli autori erano infatti sul palco, compreso Larsson, ma che ha avuto due ospiti di eccezione: Franca Valeri nella veste di presidente del Premio, lucidissima e caustica come sempre, anche se il tempo ne vela la prodigiosa capacità comunicativa e un Adelmo Fornaciari, amabile e misurato, ma veramente gigantesco nella ostentata modestia come nel valore di musicista. A sua volta Zucchero ha saputo con il suo eloquio piano e gentile deliziare il pubblico. Brava come sempre la conduttrice, Letizia Leviti, che oltre alla distintiva professionalità possiede un naturale garbo di cui ha dato prova nella intervista a una signora del teatro e grandissima interprete come Franca Valeri.