martedì 8 marzo 2016

GIOVENTÙ bruciata nella Berlino hitleriana

A leggere le note che accompagnano questo crudo romanzo tedesco degli anni Trenta del secolo scorso ( Fratelli di sangue, Fazi, pp. 206, euro 17) pare che il problema sia la mancanza di immagini dell’autore nei risguardi di copertina. In effetti di Ernst Haffner non si sa nulla. Ricompare, dopo che il suo libro è stato bruciato nei roghi nazisti e l’archivio del primo editore distrutto, per i tipi di una piccola casa editrice tedesca, la Metrolit di Berlino nel 2013 (ora ben tradotto da Madeira Giacci per Fazi Editore), come autore senza volto di un solo libro.
Romanzo di strada e di amicizia, quella dura e inscalfibile della marginalità giovanile che si autoalimenta e orgogliosa corre per vicoli e stradine di una Berlino esplorata negli anfratti più reconditi e puzzolenti. La fame, l’abbandono, la derelizione di un gruppo di ragazzini, gli stessi che verranno inquadrati come Pimpfe (pivelli) e Jungmädel (fanciulle) nella Gioventù hitleriana solo qualche mese dopo, e che sopravvivono tra correzionali ed espedienti criminogeni, fino alla dissoluzione. Già vecchi quando raggiungeranno la maggior età che dagli istituti di rieducazione li porterà direttamente al carcere, passando per prostituzione, alcol, risse ed espedienti della sopravvivenza urbana. La critica americana e tedesca ha esaltato la crudezza del linguaggio, quel suo andare dritto allo stomaco del lettore che trova in questi personaggi, intagliati nel legno duro delle situazioni di vita, di che pensare. E in effetti la straordinarietà del romanzo sta proprio nella sua assoluta mancanza di commento. Il narratore non esprime alcun giudizio sui comportamenti dei ragazzi. Sono mossi dalla fame, dal freddo, dall’orrore di una società che si disgrega, che non offre loro neppure le quinte della rappresentazione, falsa, ma pur sempre una consolazione, di possibile salvezza. Sembra quasi trattarsi della trasposizione letteraria dell’avalutatività dello scienziato sociale di weberiana memoria. Il racconto è sospeso in un’atmosfera frenetica nella quale la banda, i “Fratelli di sangue” («Jugend auf der Landstrasse Berlin » il titolo originale della prima stampa a opera dell’editore Bruno Cassirer, gioventù di Berlino sulla strada), non può far altro che adeguarsi, in un susseguirsi di fughe, rincorse, incontri e separazioni, che mimano, al contrario, la stessa frenesia della società ufficiale, quella di sopra, quella che si appresta a delegare al Terzo Reich il compito, illusorio, di liberarsi dalla miseria e dall’abominio. Nelle pagine di Haffner non ci sono analisi, spiegazioni; non vengono tratteggiati gli esiti di scelte economiche, di politiche sociali, di questo o quel partito, di questa o quella corrente culturale; non ci sono i destini traditi della nazione a giustificare o a spiegare il degrado. Mancano del tutto i giudizi sul momento storico della Germania. È assente la Kultur, e la Zivilisation è ridotta a quella dei topi, ben semplificata dal grande addomesticatore di ratti che fa scivolare con un fischio minuscoli topini bianchi da una manica per farli rientrare, dopo i saluti del caso, nei risvolti dei pantaloni, al modico prezzo di un piatto si salsiccia e una pinta di birra. Una delle scene più raccapriccianti del libro, per quanto vivida scorre in essa il senso della perfetta simbiosi tra uomo e animalità realizzatasi nella Berlino dei quegli anni. Così come l’ossessione del mangiare. Non c’è pagina, delle duecento del libro, che si leggono d’un soffio, nella quale non compaiano salsiccie, glasse, patate, birre e intingoli sui tavoli malfermi delle bettole più luride e scassate. Unite alla musica assordante delle bande di ottoni e tamburi, sembrano annunciare il repulisti prossimo della Hitlerjugend. Non passerà che qualche anno, forse solo qualche mese, e quei tamburi verranno messi insieme, accordati al ritmo della parata ripresa da Leni Riefenstahl nell’agosto del 1936 allo Stadio olimpico di Berlino. Ma c’è della letteratura in queste pagine? Certo, se le paragoniamo a quelle di romanzi come Berliner Alexanderplatzdi Alfred Döblin o Una giovinezza in Germania di Ernst Toller, o addirittura alle ambientazioni cabarettistiche del Brecht dell’Opera da tre soldi, solo per fare qualche esempio, la risposta sarebbe negativa. Ma quanto alla realtà, meglio, alla verità della realtà rappresentata, siamo in presenza di un documento tagliente e sottile come una lama, che colpisce il cuore del lettore proprio perché, a differenza di altri, evita qualsiasi enfasi retorica o stilizzazione ideologica. Non solo, ma la rottura con la grande matrice del romanzo tedesco, il Bildungroman, il romanzo di formazione, quello da cui lettori e personaggi, per non parlare dell’io narrante, si trovano alla fine migliori e riappacificati, quasi appagati dalle peripezie attraversate, non potrebbe essere più assoluta. E da questo punto di vista nelle vicende dei ragazzi di Berlino non si conserva alcuna speranza, non vi è riposo possibile per la macchina della sopravvivenza che i loro corpi maci-lenti, ma pur sempre forti, sono costretti ad alimentare. Ipnotizzati dall’attesa dell’uragano la società dei fratelli di sangue aspetta solo che il fuoco si riversi sulla sua pelle e nel frattempo appoggia i gomiti sul tavolo unto di una bettola mentre ascolta la voce di una cantante che non è ancora diventata per tutti Marlen Dietrich. (tratto da Avvenire del 06/03/2016) © riproduzione riservata

mercoledì 2 marzo 2016

Concorso letterario Gente di Mare

Concorso letterario Gente di Mare, come partecipare: bando e scadenze PescaraPostfeb 23, 2016 Un concorso letterario dedicato ai racconti ispirati dal mare e dalla sua gente: questo l’obiettivo della prima edizione di Gente di Mare. Il contest è stato ideato dal gruppo di lavoro autonomo, autogestito e autofinanziato denominato “Donne di mare“, che si avvale della collaborazione dell’associazione culturale “Incroci” e che è composto da Viviana Costantini, Ilaria Paluzzi e Paola Paluzzi. Nel concorso verranno selezionati 15 racconti (inediti e in lingua italiana), i quali contribuiranno alla realizzazione di un progetto editoriale itinerante,e verranno portati sul territorio attraverso un’opera di diffusione che si stenderà sul calendario degli eventi culturali, enogastronomici e folcloristici abruzzesi. Come spiegato dalle fautrici del bando, Verranno privilegiati gli autori che riusciranno a dare corpo a personaggi umorali, reali, concreti, nei cui occhi, tra le cui mani, sulle cui bocche si senta l’odore amaro del mare insieme alla sua poesia viscerale. Racconti di chi il mare lo vive da dentro, nella sua concretezza, nella sua amarezza, nella sua bellezza, in tutto quel che può darti, in tutto quel che si riprende, in tutto quello che alla fine ti restituisce. La partecipazione al concorso è gratuita e aperta a chiunque. Le uniche limitazioni riguardano il fatto che i racconti debbano essere inediti, mai premiati in altri concorsi, e scritti in lingua italiana. La data di scadenza per la presentazione del proprio elaborato è stata fissata per l’8 maggio prossimo. I racconti potranno essere inviati all’indirizzo di posta elettronica progettogentedimare@gmail.com. Il bando del concorso è scaricabile qui di seguito: bando concorso gente di mare 2016 Per ulteriori dettagli è possibile chiamare il numero 338.1628112 oppure inviare una mail all’indirizzo precedentemente descritto.
Capitale di John Lanchester Lanchester J., Capitale, 2014, Mondadori, pp. 554 Un romanzo godibilissimo questo di John Lanchester che, con i suoi numerosi personaggi e le sue molteplici situazioni, ricorda da un lato la comédie humaine alla Balzac e dall’altro si dimostra capace di focalizzare l’attenzione sui problemi della società contemporanea, seppure con un tono e una scrittura non drammatici, ma che quasi rivelano lo stile giornalistico proprio del mondo da cui proviene l’autore. Significativo anche il titolo scelto “Capitale” che porta con sé un doppio significato: rimanda alla capitale di uno Stato, in questo caso Londra, dove si svolgono le vicende, ma anche al capitale, ai soldi che hanno tanta importanza nella vita degli abitanti di Pepys Road, la via immaginaria di Londra dove si intrecciano per lo più le storie dei residenti. Illuminante è la lettura del Prologo che spiega i fondamentali processi di cambiamento che nel tempo ha subito Pepys Road, le mutazioni della strada, dei suoi abitanti e della legge del capitale legato al mercato immobiliare. La strada che Lanchester ha immaginato fu pensata alla fine dell’Ottocento per le famiglie del ceto medio basso, passando poi a essere la residenza dei liberi professionisti, della media e alta borghesia, per apprezzarsi infine così tanto da divenire proprietà di ricchi londinesi, alcuni dei quali lavorano nella city. E’ a questo punto che inizia la storia del romanzo, a dicembre 2007, quando il prezzo di ogni casa è così alto che i proprietari per accrescerne ulteriormente il valore sono impegnati in nuove ristruttirazioni e abbellimenti che vedono la costruzione di mansarde e di piccoli giardini d’inverno. Il libro segue la vita di una piccola parte degli abitanti di questa via, situata nei quartieri a Sud di Londra, come anche del loro personale di servizio. Durante l’anno in cui vengono descritte le vicende, gli abitanti della via comprendono: gli Yount, un ricco banchiere e sua moglie che trascorre tutto il tempo a dilapidare una fortuna nello shopping; i Kamal, una famiglia di origine pachistana che gestisce un negozio di generi alimentari nella via; Freddy e Patrick Kamo, un giovane calciatore di talento venuto dal Senegal con suo padre e che sta vivendo i suoi primi momenti londinesi in una casa lussuosa messa a sua disposizione e in un ambiente a cui non è abituato; Petunia Howe, una vecchia signora che ha trascorso tutta la vita nella sua casa a Pepys Road e che ha un nipote, artista alterantivo. Le storie di queste figure si intrecciano con altrettante storie di persone che non vivono nella via ma che lavorano nelle sue case. Si tratta per lo più di immigrati che cercano di trovare fortuna in un nuovo Paese: tra questi si trova un operaio polacco che ristruttura interni, una baby sitter ungherese e una ausiliaria del traffico, una donna laureata, rifugiata dallo Zimbawe in attesa di una regolarizzazione che non otterrà mai. Questi ultimi sono tutti personaggi che hanno la caratteristica di volersi adattare al nuovo mondo anche a costo di subire umiliazioni a cui ormai sono abituati a non dare più neanche peso. Ma che cosa hanno in comune personaggi e storie così diversi fra di loro? Tutti subiscono il fascino degli immobili della via, del loro valore e della vita delle persone che le abitano. Tutti i personaggi hanno qualche cosa da perdere e molti hanno anche qualche cosa da nascondere. La quiete apparente della via viene turbata da messaggi minatori che ogni abitante riceve periodicamente da un mittente anonimo: “Vogliamo quello che avete voi”. Anche la ricerca di chi può essere l’ideatore di queste intimidazioni è uno dei fili conduttori che lega le diverse realtà della strada. Lanchester ha descritto in questo romanzo una varietà di situazioni per rappresentare la società malata che universalmente stiamo vivendo. Così abbiamo la situazione degli Yount che sperperano con il loro menage familiare una grande quantità di denaro convinti che la loro situazione non possa mai cambiare in peggio ma che si ritrovano invece alla fine a dover vendere la casa di Pepys Road. In questo caso la figura della moglie di Roger, Arabella, per la quale una liquidità di 30.000 sterline non basta per le spese correnti di due mesi sembra rasentare la caricatura di una donna succube dello shopping più sfrenato. C’è poi la situazione un po’ scontata della famiglia pachistana che, essendo mussulmana, è la prima a essere accusata di far parte del movimento che disturba la quiete della strada con il messaggio “Vogliamo quello che avete voi”. C’è anche la realtà del nipote dell’anziana signora che abita nella via da sempre, un artista che va contro gli schemi, di cui nessuno conosce l’identità, che ricorda molto la realtà degli artisti inglesi delle nuove generazioni, per intenderci “alla Bancksy”. Ci sono anche le situazioni dei personaggi originari dell’Est Europa e quelle ancora meno fortunate dell’Africa. L’impressione che si può avere a una prima lettura è che l’autore si sia avvalso di stereotipi e luoghi comuni per popolare il suo romanzo ma bisogna dare atto a Lenchester di essersi documentato e di aver reso ogni singolo episodio in modo acuto e vivido. Ora infatti sappiamo cosa si può provare quando ci si aspetta di ricevere un bonus milionario, quando si è arrestati e malmenati senza spiegazione e rinchiusi in una cella per diversi giorni senza avere la possibilità di parlare con il proprio avvocato. Questo è dunque anche un libro sulla differenza tra ricchi e poveri e sulla frattura ormai non più sanabile tra queste due realtà e che pende sulle nostre vite come una minaccia. La frase “Vogliamo quello che avete voi” non si riferisce solo alla dimensione di possesso di beni materiali ma anche e soprattutto coinvolge emozionalmente chi abita a Pepys Road e si riferisce a ciò che la loro esistenza simboleggia. E’ la malattia del capitale, del mercato immobiliare, della corruzione nella city, della falsificazione della realtà che ha portato alla crisi bancaria mondiale, al fallimento della Lehman Brothers. A sottolineare la realtà del mondo capitalistico e industrialmente evoluto ci sono le considerazioni, anche qui forse un po’ scontate, di Freddy Kamo, il giovane senegalese che si stupisce nel vedere scarpe da donna immettibili vendute a così caro prezzo o di Quentina, l’ausiliaria del traffico originaria dello Zimbawe, che si interroga sull’ingiustizia che governa il mondo: tanti soldi sperperati in cose inutili da un lato e la mancanza di acqua in altre aree del mondo dall’altro. In questo romanzo vengono poste domande sociali, politiche, questioni relative alla nostra vita e ai pericoli che stiamo correndo in modo anche ironico e scherzoso ma ugualmente profondo. E’ un libro dalla visione ampia, molto attuale e che fa uso di un modo brillante di descrivere la società contemporanea.