venerdì 28 settembre 2012

Vincitore premio Strega 2012 - Alessandro Piperno -

Una bella costruzione narrativa, una scrittura efficace, dialoghi ben costruiti, analisi approfondite dei personaggi, ambienti resi in modo credibile. Tutto questo si trova nel terzo romanzo di Alessandro Piperno, candidato eccellente al Premio Strega 2012. Eppure, alla fine del libro, si rimane perplessi di fronte all’eccessiva esibizione di pulsioni e di sentimenti, di odi e di risentimenti, di rancori passati e mai superati che vengono raccontati dall’autore/narratore.

Il romanzo è, come promesso, il seguito della fosca storia familiare dei Pontecorvo, una famiglia di ricchi ebrei romani. Si riprende la narrazione venticinque anni dopo la morte del capofamiglia, Leo, accusato ingiustamente di molestie sessuali alla dodicenne fidanzatina del figlio Semi, il quale aveva rinunciato a difendersi, preferendo sparire nel seminterrato della villa all’Olgiata dove la famiglia abitava e dove, disperato, aveva trovato la morte. Ora Filippo e Semi sono due adulti, la loro madre Rachel continua a vivere all’Olgiata dove, in quel tetro seminterrato, ha costruito lo studio di psicologa per anziani soli. I due fratelli hanno scelto vie opposte: Filippo ha sposato una ricca gentile nevrotica e viziata, attrice di secondo piano nelle fiction televisive più commerciali mentre lui disegna fumetti; Semi, tra New York, Milano e Roma dopo aver lavorato in una grande agenzia di rating ora commercia cotone per un’importante azienda di cui è divenuto socio e rimanda il matrimonio con Silvia, ambiziosa avvocato con cui prosegue uno stanco rapporto da molti anni. La vita sessuale, sociale, familiare dei due fratelli è a dir poco malata: l’uno, Filippo, non fa che passare da un letto all’altro, il suo rapporto con la semianoressica Anna è fallimentare, la sua vita lavorativa inesistente; l’altro, Semi, è praticamente impotente e la fidanzata Silvia è solo un alibi per coprire la sua inadeguatezza, mentre la carriera prodigiosa ed economicamente gratificante finisce in una mare di debiti. Quanto più Semi cade, tanto più Filippo, autore di un film che viene presentato al festival di Cannes, conosce un’inattesa immensa popolarità che gli cambia la vita e il carattere.

Il finale del romanzo è molto violento perché racconta la resa dei conti di tre vite, quelle di Rachel, Filippo, Samuel, senza sconti per nessuno dei tre. Finalmente vengono messe al bando l’ipocrisia e il formalismo, i silenzi colpevoli, l’omertà che avevano caratterizzato i loro rapporti per troppo tempo. Il padre Leo, mai più nominato, ritorna prepotentemente in scena, mentre l’odio accumulato da Semi nei confronti di madre e fratello, di fidanzata e socio, emergono come un fiume inarrestabile. Le pagine finali del romanzo sembrano ristabilire un po’ di ordine e di armonia nelle vite devastate dei Pontecorvo, mentre la voce narrante si palesa per il personaggio più dolente del libro, Semi, che nel concludere la storia si confessa al lettore:

“Sono il fratello inessenziale, il fratello più volte tradito, il cadetto in tutti i sensi. Sono il più eclettico dei Pontecorvo. Quello pieno di talenti e quindi senza alcun talento. Sono l’impotente, il fallito, l’impostore……Mi consola sapere che non ho avuto alcun ritegno a scrivere tutto quello che sapevo di me; ma il guaio è che tutto quello che non sapevo degli altri l’ho dovuto inventare…”

Il romanzo della borghesia ebraica romana dunque si conclude con un’amara confessione: quanto ha inventato Piperno? E’ il nuovo realismo il suo stile di narratore? Davvero è così violento, problematico, doloroso il rapporto familiare che lega ebrei non troppo osservanti a “gentili” con i quali convivono e si sposano nella ovattata società romana? La sessualità (impotenza, onanismo, rapporti bulimici che nel libro abbondano) è un tabù con cui non si è fatta pace? Il personaggio di Filippo, perseguitato per un fumetto che suona offensivo ad un gruppo di terroristi islamici, è la metafora della condizione di persecuzione a cui gli ebrei romani ancora si sentono esposti? Mi sono chiesta questo e molto altro nel leggere questo lungo romanzo che non esito, pur nella sua ottima qualità letteraria, a considerare inquietante e non del tutto riuscito.

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